Estate, arrivano le prime sfide per i donatori: West Nile Virus e talassemia

Con il solleone a mettere addosso la voglia di vacanza, arrivano però anche i primi “grattacapi” per i donatori e la raccolta di sangue.

Il Centro Nazionale Sangue ha diramato le prime sospensioni dovute alle segnalazioni del West Nile Virus, trasmesso dalle zanzare. Ad oggi 13 luglio, le province coinvolte sono quelle di Reggio Emilia, Ravenna e Modena: chi abbia soggiornato anche per una sola notte in queste zone, è sospeso dalla donazione di sangue per 28 giorni.

A questo link è possibile seguire quotidianamente le sospensioni in corso: http://www.centronazionalesangue.it/notizie/west-nile-virus-2017

Oltre al virus del Nilo, i donatori hanno anche il problema talassemia a cui porre rimedio. Nelle Regioni Sicilia e Sardegna si stanno registrando preoccupanti situazioni per quanto attiene la raccolta sangue, con manifestazioni delle Associazioni dei pazienti malati di talassemia, per i quali le trasfusioni rappresentano una terapia salvavita. Il Centro Nazionale Sangue (CNS) ha lanciato un appello a tutte le Regioni per venire incontro a queste gravissime carenze. Il Sistema trasfusionale delle Marche ha immediatamente raccolto la richiesta, concordando di incrementare il numero delle chiamate e le liste di prenotazione dei donatori con orari di apertura più flessibili prevedendo anche sedute straordinarie sia nelle sedi pubbliche che nelle sedi associative.

Un applauso ai donatori marchigiani, senza escludere che nei giorni a seguire anche altre regioni vengano coinvolte per aiutare i malati delle isole. Si stima che in Italia ci siano circa 7mila pazienti talassemici, di cui quasi metà in Sicilia e Sardegna. Circa il 10% del sangue donato serve per le loro terapie.

Salute: emergenza sangue rientrata, ma criticità in 3 regioni

Hanno funzionato gli appelli a donare sangue, in seguito alle carenze registrate la settimana scorsa che, per il momento, sembrano rientrate in quasi tutte le regioni

Hanno funzionato gli appelli a donare sangue, in seguito alle carenze registrate la settimana scorsa che, per il momento, sembrano rientrate in quasi tutte le regioni. Lo affermano i dati, aggiornati alle 12 di oggi, del Centro Nazionale Sangue, secondo cui mancano ora negli ospedali 600 unità di globuli rossi in tutta Italia, contro le oltre 2600 della scorsa settimana. Complici il maltempo e l’influenza, nei giorni scorsi erano improvvisamente crollate le donazioni di sangue. Dalla bacheca predisposta dal Cns le uniche regioni che hanno fatto richiesta rispetto alle dieci dei giorni scorsi sono Toscana, Marche e Abruzzo, con carenze fra le 100 e le 150 unita’, mentre il Lazio, che nei giorni scorsi era di gran lunga la regione piu’ deficitaria, non ha denunciato carenze.

“Una carenza di 600 unita’ non ha nulla a che vedere con la situazione dei giorni scorsi. – sottolinea Giancarlo Maria Liumbruno, direttore del Centro Nazionale Sangue – Il coordinamento tra Cns, Strutture regionali per il coordinamento delle attivita’ trasfusionali (SRC) e associazioni e federazioni di donatori sembra aver funzionato, ora bisogna continuare ad intensificare le attivita’ di chiamata dei donatori e di raccolta in quelle regioni che sono ancora in carenza. Nelle Regioni che hanno superato il momento di crisi bisogna invece garantire che le attivita’ di donazione rispettino la programmazione effettuata per la copertura dei fabbisogni legati alle proprie assistenziali”. La carenza di sangue può inoltre mettere a rischio l’esecuzione di interventi chirurgici programmati e le terapie per pazienti con malattie croniche come la talassemia che necessitano di continue trasfusioni. L’invito per tutti i donatori rimane quello di contattare l’associazione di appartenenza o il Servizio Trasfusionale di riferimento per programmare la donazione.

Salute a tavola, ricerca afferma: ridurre le calorie allunga la vita

Ridurre le calorie allunga la vita: se ne parla da molto tempo, ma i primi dati che lo confermano arrivano solo ora da una ricerca condotta sulle scimmie.

Pubblicata sulla rivista Nature Communications, la ricerca è stata condotta negli Stati Uniti dall'università del Wisconsin-Madison e dal National Institute on Aging (Nia). Finora questi due gruppi erano stati in competizione e nelle loro ricerche avevano ottenuto risultati differenti.

Per la prima volta hanno collaborato e hanno dimostrato che limitare le calorie effettivamente aiuta ad avere una vita più lunga e sana.

Così è stata risolta anche una delle maggiori controversie delle ricerche sull'invecchiamento.

La disputa era iniziata nel 2009, quando il gruppo dell'università del Wisconsin-Madison aveva dimostrato che ridurre le calorie allunga la vita, riduce il rischio di malattie cardiovascolari e cancro.

Nel 2012, invece, i ricercatori del Nia aveva trovato che mangiare di meno non porta risultati significativi sulla durata della vita, ma solo a un miglioramento generale delle condizioni di salute.

«Questi risultati contrastanti avevano gettato un'ombra di dubbio», ha osservato Rozalyn Anderson, dell'università del Wisconsin-Madison. I ricercatori hanno analizzato le informazioni raccolte nelle ricerche condotte in passato su quasi 200 scimmie e hanno capito anche perchè i due studi davano risultati diversi.

In primo luogo gli animali erano stati messi a dieta in età diverse e adesso la nuova analisi dei dati ha dimostrato che mangiare meno è utile nei primati adulti e anziani, ma non nei giovani.

In secondo luogo, nello studio del Nia, le scimmie di controllo avevano mangiato meno rispetto al gruppo di controllo dell'università del Wisconsin.

Di conseguenza i benefici della restrizione calorica erano sembrati diversi.

In terzo luogo, i due gruppi di scimmie erano stati sottoposti in precedenza a diete diverse e anche per questo il risultato della restrizione calorica è stato differente: le scimmie del Nia avevano mangiato alimenti di origine naturale, mentre le altre avevano sempre mangiato alimenti trasformati con elevato contenuto di zucchero.

Vongole veraci pericolose per la salute: allerta in tutta Italia, potrebbero essere contaminate

Cenone di Natale a rischio quest'anno. Soprattutto per chi pensava di portare a tavola un bel piatto di linguine allo scoglio e che invece dovrà rinunciare al pezzo forte, ovvero alle vongole. Per quelle veraci è stata appena  diramata in tutta Italia un'allerta massima perchè potrebbero  contenere il pericoloso batterio Escherichia Coli "oltre i limiti di legge". L’allarme che riguarda l'intero territorio nazionale, da nord a sud, è stato lanciato dal RASFF, il sistema di allerta europeo rapido per la sicurezza alimentare. Non più dunque solo pochi campioni di prodotti come i mitili di Goro ritirati poco tempo fa dai supermercati Conad. Ora il rischio si estende a macchia d'olio e sembrerbbe riguardare gran parte delle vongole veraci fresche vendute sul mercato italiano. Che di nome (scientifico) fanno Ruditapes Decussatus sono le più pregiate, e si riconoscono perchè hanno una forma allungata e molti cerchi sulla conchiglia. Sono sia di mare che di allevamento.

 

 

Il Rasff ha già inviato un documento sugli alimenti a rischio per il ritiro dei prodotti potenzialmente pericolosi per la salute pubblica. E lo sono davvero se contengono questo batterio molto insidioso presente in acque inquinate da feci che può essere una bomba per l'apparato digerente e provocare nausea, forti crampi addominali, diarrea, vomito.

L’allerta in questione è del 9 dicembre rif. 2016.1725, non si conoscono i lotti coinvolti anche perchè riguardano non solo la Grande distribuzione ma pescherie e mercati. Quello che è certo è che il ritiro è stato già avviato in tutta Italia. L'invito da parte del Sistema di allerta invita tutti a prestare la massima attenzione e a non consumare questo tipo vongo senza prima sottoporla al controllo dal Servizio igiene degli alimenti e nutrizione della Asl locale.

Meningite, 10 cose da sapere sulla malattia

Dopo i due casi di morte per meningite di tipo C diagnosticati a Milano e il caso di poche ore fa nei pressi di Brescia, l’opinione pubblica italiana sembra essersi mossa a favore delle vaccinazioni, per lo meno per quanto riguarda la protezione dal meningococco B e C. Secondo le stime regionali riportate dal Corriere della sera, l’aumento delle domande di vaccinazioni è stata ovunque almeno del 10%, fino anche a far segnare un più 80% in alcune aree della Lombardia.

Le notizie di cronaca e il timore di contrarre la malattia sembrano aver sortito l’effetto che da tempo si sperava di ottenere attraverso una lunga e intensa campagna per le vaccinazioni. Qui sulle pagine di Wired a proposito di meningite abbiamo già scritto più volte: di seguito un elenco per punti con alcuni consigli pratici e altre cose da sapere su una patologia che nel mondo causa una morte ogni otto minuti.

1. La protezione di gregge si raggiunge con l’85% di vaccinati

Secondo i modelli matematici epidemiologici, sarebbe necessaria una copertura vaccinale molto alta per garantire a tutti l’immunità di gregge, ossia una protezione di massa che includa anche i non vaccinati e i non responsivi al vaccino.

La priorità indicata dai medici è però di partire dalle fasce più giovani della popolazione, che sono anche le più colpite dalla malattia. Il picco assoluto della meningite è nella fascia da zero a due anni, con un’incidenza massima concentrata tra il quarto e l’ottavo mese. Per questo motivo occorre che il vaccino sia somministrato presto, a pochi mesi di età, ricordando che il sistema immunitario del bambino è già completamente formato al momento della nascita.

2. Dal 2017 le regole per la vaccinazione cambiano

Il nuovo calendario vaccinale italiano includerà tra le vaccinazioni del primo anno di vita del bambino anche il meningococco B: questo significa che per i neonati il vaccino diventerà garantito e offerto gratuitamente in ogni regione. A differenza di quanto sta ancora accadendo, il vaccino sarà distribuito allo stesso modo in tutta Italia indipendentemente dalle singole leggi regionali che regolamentano le vaccinazioni. Come ha ribadito nel commentare la notizia Pier Luigi Lopalco, ordinario di igiene e medicina preventiva all’università di Pisa, “il fatto che un vaccino sia inserito in un calendario vaccinale non è il traguardo, ma solo il primo passo affinché la vaccinazione si faccia davvero”.

Per i nati dal 2015 in poi, in alcune regioni è già prevista una vaccinazione gratuita contro il meningococco B. Toscana, Liguria, Basilicata, Puglia, Sicilia e Friuli Venezia Giulia prevedono la somministrazione di due dosi del vaccino tra i tre e i cinque mesi di vita.

3. Dopo i bambini piccoli, i primi da vaccinare sono i ragazzi

A causa del particolare meccanismo di trasmissione e insorgenza della malattia (spiegato per esempio qui), gli adolescenti e i giovani sono i più esposti al contagio. La fascia tra i 14 e i 25 anni, ossia quella in cui ci sono più contatti umani con un gran numero di persone, dovrebbe essere la prima ad assicurarsi una adeguata copertura vaccinale.

4. Quando l’antibiotico e quando il vaccino?

La profilassi vaccinale serve a garantire la protezione futuraall’individuo (e indirettamente anche gli altri) e viene somministrata in un momento in cui non c’è un rischio diretto di contrarre la malattia. L’antibiotico, invece, viene consigliato alle persone che sono entrate in stretto contatto – per esempio nella stessa stanza o entro un paio di metri – con una persona già malata o che poco dopo si è ammalata di meningite. La protezione antibiotica deve essere somministrata più velocemente possibile, dal momento che il decorso della malattia è molto rapido e avviene in poche ore.

5. Quanto costa vaccinarsi?

A questa domanda non c’è una risposta unica, poiché i prezzi variano da una regione all’altra. Mediamente si può stimare un costo di 70 euro per il vaccino contro il ceppo C della meningite e di 150 euro per il ceppo B, del quale però occorrono due dosi per ottenere la copertura. A questi costi fissi si aggiungono quelli variabili dovuti ai medici che eseguono fisicamente la somministrazione, che possono essere anche di un centinaio di euro (leggermente inferiori nei centri vaccinali). Infine, occorre ricordare che l’efficacia della protezione tende a calare nel tempo e quindi è consigliato prevedere dei richiamicon frequenza indicativa di dieci anni.

6. I numeri ufficiali sono una sottostima quelli veri

Il riferimento è alle statistiche su casi e vittime della meningite: secondo i dati dell’Istituto Superiore della Sanità in Italia siamo nell’ordine dei 160 casi all’anno di malattia invasiva da meningococco, ma il dato reale potrebbe essere almeno il doppio. Come mai? Ogni anno in Italia ci sono centinaia di morti che vengono catalogate come malattie sistemiche (sepsi) di tipo Ndd, ossia con Natura da determinare. Se al posto dei test tradizionali si utilizzassero strumenti diagnosi più evoluti, come le tecnologie molecolari di tipo Pcr-rt, probabilmente si scoprirebbe che una frazione delle morti non attribuite a un batterio specifico sarebbe da aggiungere al conteggio dei casi di meningite.

7. L’Italia non ha meno casi perché “è il paese del Sole“

Come spiega Chiara Azzari, responsabile del centro di immunologia pediatrica dell’ospedale Meyer di Firenze, la differenza tra i conteggi ufficiali delle meningiti in Italia e Regno Unito – dove l’incidenza della malattia è apparentemente maggiore – sono dovute alle differenze nelle tecniche diagnostiche. “I casi si trovano se si cercano”, ha spiegato riferendosi al fatto che non si tratta di una questione di fortuna per via del clima o di altri fattori ambientali, ma viceversa di una nostra probabile cecità nell’individuare i casi attraverso le giuste tecniche di laboratorio. Su scala nazionale, è possibile che anche l’apparente concentrazione di casi in Toscana sia dovuta a qualcosa di analogo legato alle tecniche di analisi.

8. L’efficacia del vaccino contro la meningite è del 94%

Su 6 persone ogni 100 il vaccino messo a punto da Glaxo Smith Kline (Gsk) non riesce ad avere un effetto completo, nel senso che a causa di altre condizioni cliniche concomitanti oppure di una risposta non ottimale da parte del paziente è possibile che la malattia possa svilupparsi comunque. Questo dato sottolinea l’importanza della già citata vaccinazione di massa per assicurare la protezione indiretta anche su chi non è reso immune dal vaccino. Allo stesso tempo, però si è osservato che anche su quel 6% il vaccino ha effetti positivi, poiché fa sì che la malattia si presenti in forma più attenuata e l’infezione sia meno intensa.

9. Il vaccino contro la meningite previene anche la gonorrea

La gonorrea è la malattia a trasmissione sessuale che nel mondo sta avendo un incremento più rapido. Ed è stato osservato che, inaspettatamente, il vaccino somministrato per prevenire la meningite offre anche una certa immunità contro la gonorrea. Analizzando i dati della campagna di vaccinazioni in Nuova Zelanda, i ricercatori hanno scoperto che sui vaccinati contro la meningite l’incidenza della gonorrea era diminuita del 30% circa. Non si tratta comunque di una completa sorpresa, dal momento che è già noto da tempo come i batteri che causano la meningite B e la gonorrea siano imparentati.

10. Il vaccino primo caso al mondo di Reverse Vaccinology

Mettere a punto un vaccino contro la meningite B non è stato facile e ha richiesto l’utilizzo di una tecnica mai utilizzata prima. Se tradizionalmente il punto di partenza di qualunque studio erano le colture in laboratorio, nel caso del meningococco B è stato seguito il percorso opposto, sfruttando la genomica e la bioinformatica per individuare i possibili antigeni. Capire quali molecole fossero adatte al vaccino sarebbe stato impossibile attraverso le tecnologie tradizionali, ma l’approccio computazionale della Reverse Vaccinology – il cui pioniere è stato Rino Rappuoli – ha permesso di studiare le proteine di superficie e ridurre da 600 a 3 il numero dei possibili antigeni. Dopo due decenni di ricerche, da pochi anni il vaccino contro la meningite B ha completato tutte le fasi sperimentali è arrivato in commercio.